GALLERIA SCHUBERT

 

 

Il Giardino degli Dei

NORIO TAKAOKA

La Galleria Schubert inaugura il giorno 26 giugno 2006 alle ore 18.30 presso la propria sede di Via Fontana 11, 20122 Milano la mostra di sculture in pietra intitolata "Il giardino degli Dei" dello scultore giapponese Norio Takaoka, accompagnata da un saggio critico di Lorenzo Bonini.

Dopo nove anni vi è il ritorno presso la Galleria del noto artista con nuove sculture. Infatti nel 1997 Takaoka aveva presentato la mostra "Semi e Fiori", in cui si evidenziava il rapporto tra la cultura giapponese e la contemplazione della natura.

Nonostante la giovane età alcune sue opere sono già esposte presso prestigiosi musei giapponesi, come il Museo della scultura di Asahikawa, il Museo d'Arte Moderna di Saitama o il museo della città di Niigata. Molti sono i suoi monumenti acquistati dalle istituzioni pubbliche Giapponesi. Tra questi, di notevole importanza, potremmo citare quelli delle Prefetture di Saitama, Mie e Tokyo, oltre a quelli delle città di Omiya, Minokamo, Hachiouji e molte altre.

Le sue sculture sono di pietra, materiale utilizzato da milioni di anni e che resiste al passare del tempo. Si alternano figure verticali, allungate verso il cielo a figure più rotonde, orizzontali, in cui viene esaltata la pesantezza della materia. Superfici lisce e brillanti sono in contrasto con facciate ruvide e opache.

La Galleria Schubert, con la mostra di Takaoka, fa riemergere il proprio interesse verso i nuovi protagonisti dell’arte figurativa internazionale promuovendo incontri e scambi culturali di espressioni artistiche diverse.


Norio Takaoka

 

IL GIARDINO DEGLI DEI

Saggio critico di

Lorenzo Bonini


 

Questa manciata di isole dalla civiltà ben diversa da ogni altra, fu un tempo denominata: "L'impero alla fine del mondo…. Il Paese dove sorge il sole ". Pur legata alla cultura indo-asiatica del buddhismo, l'arte del Giappone trasformò tutto ciò che giunse da occidente e si sublimò in forme assolute di decantata semplicità. Fu all'origine dell'arte moderna del mondo intero, influenzò notevolmente sull'impressionismo, sul post-impressionismo, sul modernismo o liberty, art nouveau, floreale o Jugendstil che dir si voglia. Per secoli, il Giappone tentò di sottrarsi al lento evolvere del resto del mondo, rifiutando ammodernamenti che comportavono ineluttabilmente degradazioni e compromessi, dovette cedere solo alla forza delle navi statunitensi del Commodoro Perry nel 1853 per allinearsi all'europeismo, consapevole di dovere "cedere alle barbarie al materialismo, all'egoismo abbietto e deleterio". Espresse nelle proprie arti soprattutto valori etici: il concetto del bushidò, l'adesione incondizionata alla Natura che tutto regola e alla quale tutto ritorna.

Ora, si può affermare che la vera arte del Giappone sia costituita dai suoi paesaggi e l'adesione al paesaggio, la sua contemplazione è sempre stata il modulo sul quale si è basata l'arte del sole Levante (Yamato).

Il monte Fuji o una sua visione dipinta, l'isola Itsuku o una riproduzione xilografica hanno eguale significato per un giapponese "come opera d'arte", non vi è jato tra Natura e la sua raffigurazione. Tuttavia per arrivare a comprendere quest'arte, occorre tenere presente un'altra serie d'eguaglianze alla quale, per esempio, si ricollega il gusto particolare d'architetture che assolutamente non entrano in contrasto con la natura in cui sono calate.

Coesistono il piacere materiale e il misticismo più puro; il distacco delle regole religiose e una profonda religiosità si equivalgono, come si equivalgono tutte le religioni. Il mitologico e naturale shintoismo, con i templi di Izumo e di Ise, s'apparentano all'astrazione contemplativa del buddismo zen e ai suoi templi di Eihei. Entrambi venerano incondizionatamente la natura. Così il Giappone par quasi dar vita a un paradosso religioso che ha influito notevolmente sulla qualità delle sue arti, sublimandole quale concetto d'un bello assoluto, a differenza delle arti europee classiche, che per lo più sono illustrazioni tecnicamente accurate del potere religioso e temporale.

Norio Takaoka vive intimamente questo sentimento e nutrendolo di devozione ce lo mostra con estremo rigore attraverso le sue sculture:fiori, semi giganti fuori misura; un fuori misura cercato, voluto per esaltare la religiosa sacralità della natura, nella sua continua eterna elevata grandiosità.Indubbiamente nello stesso modo attrae per la sua disinvolta inventiva e l'evidente ammiccamento propositivo che vi si offre; in disponibilità quasi ludica, il lavoro di Norio Takaoka, appare anzitutto sfuggire ad un'agevole ravvisabile tipologia. Le sue sculture sono realizzate con una particolare attenzione formale nella purezza plastica, nella deferenza dei materiali trattati con intima perizia e amore legato alla simbologia.

Opere che vanno lette insomma quali costruzioni plastiche, assistite in modo tutt'altro che secondario dall'intenzionalità affettiva delle proporzioni, adombrando nel proprio insieme interrogativi che hanno cominciato a manifestarsi e ad articolarsi in modo consistente gia nei primi anni Ottanta, attraverso una serie di grandi monumenti, poi acquistati dalle istituzioni pubbliche giapponesi e prestigiosi Musei, tra cui: Museo della Scultura di Ashikawa, il Museo d'Arte Moderna di Saitama e di Niigata; significativi per la mole quelli della prefettura di Tokyo alta quasi dieci metri e quello a More. L'intenzionalità è sottilmente spiazzante, induce ad una riflessione su probabilità di farsi una convinzione di convenzionalità concernente l'immagine metaforica delle cose che ci toccano, come consapevolezze del quotidiano.

Segni rappresentativi del nostro tempo quindi, come lo era per esempio nel passato l'architettura civile, lo stile shôin - zukuri, oppure il teatro , ad opera di Yuzaki, o l'arcaica cerimonia del tè (cha-no yu) e l'arte antica della disposizione dei fiori (ikebana), che Takaoka, nel suo iter artistico contemporaneo, ci suggerisce e ci mostra pubblicamente in questa personale dal titolo emblematico "Il Giardino degli Dei" dove, dalla straordinaria semplicità delle forme, colpisce nel segno della narrazione con estrosità religiosa della sua arte, sublimandola al concetto del bello; anche una lama di spada (katana) è elaborata secondo un complesso rituale religioso, con un autentico coinvolgimento emotivo è considerata opera d'arte. Anche per Takaoka fare scultura è evocazione epica di un evento, che si recita fra oscure divinazioni e lucida ragione, lasciandone alcune parti alluse ed indecifrabili, come avviene nello sviluppo progressivo del sapere, dall'intuizione al rivelare logico, tra il mito e la parola. Materia, idea, memoria, si fondano unitamente nell'interpretazione armonica di sensazione, come realtà e sogno, nel quale oggi è persino doveroso sognare. Sognare i limiti sovrani della scultura per sottrarne con forza un brandello alla storia appartenuta e poterlo richiamare in vita pindaricamente, con macerato tormento fra piacere e perdizione, fra le poetiche dell'esistenza con la consapevolezza e il disincanto d'essere solo profondamente uomo che, dallo sfondo acquea crosta assurga il Sole.



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