Paola MarzoliLe gabbie per gli dei Settembre 2001
CONVERSAZIONE CON MARIO PERAZZI
Marzoli. Tu sai che io numero i quadri. . . Non per catalogarli, ma con la speranza che un giorno, miracolosamente, da questa sequenza temporale di immagini salti fuori una storia. Più che all opera finita tengo alla storia, alle storie, ai percorsi. . . Nei miei primi lavori, quando cercavo le immagini nella pittura già dipinta, De Chirico e i surrealisti mi aprivano la strada. In loro ritrovavo il mio bisogno di rompere la compattezza della cosiddetta realtà senza compiere gesti maleducati: immagini composte, ordinate nel codice, e nello stesso tempo spostate dal loro contesto, scollate dai loro nomi. . . P. . . . Ceci n est pas une pipe. . . M. . . . Che era un modo di muovere la visione virando di poco limmagine. . . P. Tu continui a usare la parola immagine, però non ti riferisci a una immagine realistica, tanto è vero che le mostre che ultimamente ti hanno emozionato sono per lo più non figurative. Cioè per te l immagine non è immagine figurativa anche se apparentemente tu fai una pittura figurativa.
P . Però tu ci sei sempre dentro nella tua pittura. . . I tuoi, diciamo penultimi , quadri presi da foto della tua infanzia, sono totalmente autobiografici. . . M . Certo. . . E ora sto lavorando al passaggio da una introspezione fatta nella scelta dei soggetti ad una introspezione cercata anche nella materia della pittura. . . Ma è come se dovessi procedere con cautela. . . P. Secondo te, perché?
Certo, la prima pittura che ho fatto era molto tenuta. All inizio contenuta nella strada già tracciata e molto educata del surrealismo e poi nelle pagine dei tanti libri bianchi che ho dipinto e nei muri rigidi delle stanze grigie. Libri bianchi bucati o ricamati a punto in croce da un ago infilato di rosso, stanze grigie, una accostata all altra, sospese nel vuoto, festonate da un filo rosso.
M . Sì, ma io allora ho tentato di uscirne. Ho tentato di uscire da quelle stanze, e ho fatto dei racconti di natura:delle specie di tempeste giorgionesche, con anche il fuoco. . . Fino ad arrivare ad una discesa alle madri, fatta accostando immagini del mito classico all ordine significativo delle macchie e delle strisce sulla pelle degli animali. . . Per tornare oggi a recuperare il codice rotto delle colonne. . . P. Tu, apparentemente, sembri citare, ma in realtà non citi. . . M . Penso di no. Ho usato gli antichi più che citarli. Ho lavorato molto sulla pittura classica, ho rifatto quadri di Piero della Francesca, ma anche quando rifaccio un quadro non lo copio, ma lo scompongo, lo decostruisco e lo ricostruisco. . . P. Che è una sorta di operazione concettuale. . . In un certo senso assimilabile al lavoro di Paolini sul giovane che guarda Lorenzo Lotto. Però la realizzi con dei media diversi. . .
P . Di fatto la tua pittura attuale è più vicina a un quadro antico che a un quadro moderno, diciamo, non figurativo:la partizione dello spazio è classica. Ma hai mai provato a tentare una maggiore astrazione? M. . . . Collocare l immagine nello spazio tridimensionale rinascimentale mi da la base per esplorare qualcosa oltre quello spazio. Cè chi, nella pittura moderna, ha mirato allespressione dellemozione pura. . . Ma io ho bisogno di lavorare a lungo su un quadro:non posso fare un quadro troppo in fretta. La costruzione dellimmagine mi aiuta a raccogliere e dosare lemozione. . . P. Decantare. . .
materia delle colonne, e ai neri e agli azzurri ritagliati tra le colonne. Zumare sulle basi delle colonne come faceva Gnoli sui colletti delle camicie. P. Hai citato Gnoli, non a caso. Chi cè fra i contemporanei a cui ti si potrebbe avvicinare? M. . . . Non saprei. . . Uso in modo vorace le scoperte degli altri, poi rumino o elimino. . . A volte colgo cose che possono aiutarmi a distinguere la mia strada. . . Recentemente ho visto una mostra di Elisabeth Scerffig. . . Grandi disegni di scavo nellintrico di pietre, ferri, legni, tubi e cavi del sottosuolo urbano, rappresentati nella loro consistenza materiale specifica e insieme ricondotti ad unità di tessuto in un segno simile ad una scrittura, sempre uguale a se stesso. Ecco, lei, senza rompere il codice del discorso figurativo, lo evoca e lo dissolve nella continuità del segno. . . P. Una specie di filologia dellimmagine. . . M . Un modo per tenere insieme le immagini che nasce dallavvicinamento alla struttura interna della materia:non cè più bisogno allora di negare la prospettiva che diventa, come una forma antica di visione, parte della realtà rappresentata. P . Se vuoi è un approfondimento estremo di quello che avevano già cercato di fare Signac e Seurat col puntinismo, o anche Pelizza da Volpedo e Segantini. Loro più che loggetto cercavano la luce. . . Dissolvevano la materia nella luce. . . Se leggi i loro scritti capisci. . . M. . . . Pensavo che forse, rispetto ad Elisabeth, io cerco qualcosa di più conflittuale. . . P. Comunque si pone sempre il problema della pittura:a te esperimenti di tipo extrapittorico non hanno mai interessato. . .
P . Domanda banale ma inevitabile:che influenze hanno le letture sul tuo modo di lavorare? M. . . . Non saprei. . . Sono appassionata di grecità e soprattutto le strutture del mito mi attraggono. Possono essere anche solo parole. . . Escatiá, per esempio. . . La parola escatiáinsieme a quello che rappresenta (i luoghi marginali, oltre il seminato o estremi, percorsi da Artemide)subito mi anima. . . Come dire che mi interessa il discorso, il codice e quello che il codice non può contenere. . . Analogamente, nella letteratura moderna e attuale, quello che mi interessa è la trama animata della scrittura. . . Il tessuto delle parole. . . I tentativi di definire spazi psichici nuovi in antiche parole e la necessità di trovarne di nuove e nuovi ritmi senza perdere la struttura del discorso. P . Tu hai usato il termine parola. . . Il suono della parola, il significato della parola in senso lacaniano, la parola come logo totale, come legge, come leggenda, con tutti i suoi etimi. Checosa è per te la parola? M. Le parole mi emozionano, i nomi dati alle cose. . . P. . . . E ai luoghi. . . Che sono quasi sempre significativi. . . I toponimi. . .
M. . . . Cose che hanno imposto i loro nomi e nomi che hanno imprigionato le cose. . . E le cose, dal di dentro, a modificare le parole e così via. . . La lotta tra le parole e le cose. . . La parola come strumento drammatico delluomo. Lo stesso dramma che si incontra nella pittura quando si vuol mantenere un codice. Come tener su colonne che pur sono già crollate. . . Recentemente e con grande godimento sono arrivata a scrivere parole sui quadri. . . Ma questa è unaltra cosa rispetto al logo. . . Ese mai la scrittura che ridiventa segno pittorico e materia in immagini più dense. . . P . Più dense e anche figurativamente più agguerrite. . . Quello che cè di bello nella tua pittura è che sei migliorata. . . Se uno usa a proposito dei tuoi quadri aggettivi tipo gradevole, bello, ti da noia? M . Sì che mi da noia. Intanto perché se sono affezionata alla storia, al discorso e al senso, non mi importa niente del bello. Anzi lo temo. Sai perché?Perché è una tentazione di stasi. Dopo aver fatto i quadri grigi delle stanze, che erano brutti, ostici, rigidi, mancanti di materia, ma che avevano una loro verità almeno psichica (è una verità anche lespressione di una mancanza. . . ), mi sono poi un popersa dietro immagini che, per cercare di essere più piene, finivano per essere più graziose. . . allora vorrei guardarmi da questo rischio, che è un rischio di perbenismo. . . Che è la mia storia. . . P . . . . La nostra storia. . . Basta vedere come siamo vestiti. . . (Aprile 2001)
Biografia Paola Marzoli è nata nel 1944 e vive a Milano dove, dopo la laurea in architettura e alcuni anni di attività nel campo dell'architettura, si occupa di pittura e psicoanalisi. Ha esposto le sue opere a partire dal 1974 in mostre personali a Milano, Firenze, Parigi, Mannheim, Sao Paulo (Museu de Arte), Bruxelles, e ha partecipato a varie manifestazioni collettive. Ritorna alla Home Pageper contatti |